PippoFante

di Federico Mion

Faber est suae quisque fortunae

Ecco a noi l’ultima intera notte del 2015, anno che mi ha visto protagonista di cose belle e brutte, esperienze pessime e meravigliose, in ogni caso tutte mi hanno condotto qui, dove e come sono ora. E ne sono contento perché dai prossimi 365 giorni non mi aspetto nulla, bensì so che sarò io a cercare, creare e ottenere ciò che voglio.  

Rifugiamoci

Mai avevo passato una notte in rifugio, così ho acquistato un sacco lenzuolo, ho organizzato un itinerario di due giorni, mi sono assicurato un posto letto e sono partito, emozionato per la nuova avventura.

Camerata al Rifugio Boè

Arrivato – Rifugio Alpe di Tires – in un pomeriggio nebbioso, mi sono annunciato ai gestori che mi hanno dato indicazioni: bene, sono dentro! Ho tolto gli scarponi per indossare più comode ciabatte, ho preparato il letto in camerata, mi sono lavato e cambiato, quindi ho preso posto a sedere in sala. Con libro, carta, penna e una birra ho ingannato il tempo, dato che la pioggia non consentiva uscite e l’ora di cena (18:30, diciottoetrenta!) era distante.

Oh, che splendida e familiare atmosfera, circondato da altri viandanti simili a me, ognuno dei quali ha speso sudore e fatica per raggiungere questo posto, solo per amore della montagna. Ho subito legato con quelli seduti al mio tavolo, mentre mangiavamo abbondanti piatti, raccontando, ascoltando, ridendo, imparando. Essendo la mia prima volta ho offerto un apprezzato giro di grappe, in pieno spirito di condivisione, vera forza motrice della vita in rifugio. Sentendo parlare il mio dialetto, ho avvicinato altre persone e facilmente ho attaccato bottone, infatti erano dalle mie zone. Questo senso di comunità lubrifica i rapporti sociali, rende semplice le conversazioni.

Alla mattina non c’è stata necessità di sveglia: luce non ne entra dai balconi costantemente spalancati, se non quella dell’alba che pian piano invade le stanze e fa aprire gli occhi. Sciacquata alla stanza lavabi e tutti giù a fare colazione, affamati, per un bel pieno di energia adatto a affrontare la giornata di cammino. Già, perché dopo avere dormito sotto lo stesso tetto, usato gli stessi bagni, adoperato le stesse tavole, ognuno prende la sua strada. Ci si saluta con auguri di buon cammino, ci si separa con un po’ di tristezza, e si parte.

Mi è talmente piaciuta come esperienza che ho deciso di ripeterla il prima possibile. Questa volta desideravo un ambiente più spartano, così siamo partiti in 3 per Rifugio Passo Principe, che si è dimostrato all’altezza della mia immaginazione, con il gestore grande guida alpina nonché abile oste. Non sono mancate le nuove amicizie, le chiacchiere, gli scambi di informazioni e consigli. In compagnia i tempi morti si dissolvono, lo spirito si eleva e il piacere si moltiplica! Ciliegina sulla torta, abbiamo improvvisato un’altra notte fuori al Rifugio Sasso Piatto.

Rodaggio concluso, ero pronto per la mia vacanza, ossia 5 giorni di zaino, e scarponi giorno e notte in montagna. Raggiunto sabato e domenica da un’amica ho esplorato il Gruppo del Sella e Catinaccio, pernottando ai rifugi ContrinBoèSandro Pertini e Re Alberto sotto le maestose e meravigliose Torri del Vajolet.

Tramonto sulle Torri del Vajolet

Non contento ho chiuso la stagione con un’uscita di gruppo. Esperienza interessante al Rifugio Lambertenghi Romanin dove, coi compagni, ci siamo scaldati al calore della stufa e, mentre fuori la pioggia che ci aveva bagnato per l’intera ascesa si trasformava in neve, non abbiamo smesso di giocare a carte, ridere e spettegolare.

Cosa ho appreso e sperimentato? Che la scomodità dei materassi, l’odore e i rumori della camerata, i bagni in comune, l’acqua fredda e scarsa sono un prezzo che vale la pena spendere per ottenere amicizia, condivisione, incontri e passione. Che sintonizzarsi sugli orari della natura per cibo e sonno dona inaspettata energia e vigore. Che le montagne illuminate dal sole stanco del tramonto e da quello fresco dell’alba lasciano senza parole. Che una volta entrato in questo mondo c’è un vortice di emozioni che attrae con un richiamo e una forza irresistibili.

Alba sulla Marmolada

La paura è una guida

Viene sempre connotata negativamente, la paura, però è un’emozione come le altre, un segnale che il nostro corpo e il nostro spirito ci inviano. Dobbiamo accoglierla e interpretarla, perché non solo è utile ma è anche necessaria al nostro benessere.

Spesso ci dice di prestare attenzione, di cambiare direzione, che c’è qualcosa che non va. Per esempio un vicolo poco attraente in una città sconosciuta, o un automobilista che procede in maniera strana, o una persona che non ci ispira.
Altrettante volte ci indica la via da seguire, quella difficile, quella che ci fa progredire, quella ricca di ostacoli, quella che ci fa crescere. Come una telefonata che non vogliamo fare, come un sentiero poco battuto, come una persona che ci fa battere il cuore.

Tutto quello che vuoi è dall’altra parte della paura. [Jack Canfield]

Sto cercando di farla mia mettendola in pratica. Mica è facile, mica è banale, ci vuole coraggio e fiducia, tuttavia spesso è l’unico modo per avanzare verso i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri sogni.

Come capire quale maschera indossa la paura, discernere tra timore, timidezza, terrore, panico? Ascoltando e fidandosi dell’istinto, imparando a conoscerla e riconoscerla senza evitarla o respingerla. Vivendola e affrontandola ogni giorno, ricordando che restare all’interno della propria comfort zone significa limitarsi a sopravvivere.

comfort-zone

La fantasia è vita

Fantasia: facoltà della mente umana di creare immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no a una realtà. [Treccani]

Da piccoli la usavamo tutti i giorni, in qualsiasi momento, in ogni attività. Poi, chi più chi meno, abbiamo cominciato ad accantonarla perché è meglio avere i piedi per terra e non la testa tra le nuvole. Che tristezza. Che spreco.

Non solo è importante, ma è proprio indispensabile visualizzare e creare nella mente. Perché sensazioni ed emozioni che derivano da questo esercizio sono reali e tangibili. Perché gli effetti che ne conseguono sono concreti. Perché tutti i sogni e progetti percorrono i primi passi su questo terreno.

Fantasia è pura immaginazione, fine a se stessa; senza limiti, senza regole, senza censure, senza confini. Ti permette di viaggiare in tutto il mondo e l’universo, ti permette di creare il tuo mondo e universo, ti consente di essere Dio, ti consente di capire che tu sei Dio. Hai la possibilità di… beh, spetta a te completare questa frase. La fantasia è gratuita e infinita, priva di controindicazioni, eccetto il fatto che crea dipendenza, ma essendo piacevole e positiva questo è un pregio. Usala e abusane!

Fallo ora, non rimandare, altrimenti ha ragione lui:

Gmork: “Perché la gente ha rinunciato a sperare. E dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga.”
[…]
Gmork: “Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.”

Ode alla vita

L’ho stampata e attaccata alla porta di casa, così la scorgo ogni volta che esco o ci passo davanti e non posso ignorarne il messaggio, che è vivi qui e ora.

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

Martha Medeiros

La parte che preferisco, e quella che conosco a memoria, è la seconda strofa, la più affascinante e coinvolgente, che al solo recitarla fa veramente battere il cuore!

Scatta Pantani!

Nell’estate del 2011 avevo qualche centinaio di euro messi da parte per acquistare una nuova TV, invece ho comprato una bicicletta da corsa.

Consigliato da un amico ho valutato alcune alternative trovando infine una Battaglin usata: è stato un ottimo affare, uno dei migliori che abbia mai concluso.
Sul piano economico, il prezzo basso per un prodotto praticamente nuovo con componenti non dell’ultima stagione.
Sul piano fisico, insieme a una sana alimentazione mi ha aiutato a perdere una quindicina di chili in pochi mesi senza effetti collaterali e senza recuperarli.
Sul piano psicologico, mi ha fatto guadagnare fiducia in me stesso, mi ha donato determinazione (quella che ti fa alzare alle 5 di mattina per uscire a sudare), mi ha permesso di scaricare tensione e caricare serenità.
Sul piano sociale, ho conosciuto altri appassionati e amanti del mondo a due ruote con cui ho condiviso qualche pedalata, molte chiacchiere e infinite risate.
Sì, mi ha cambiato in meglio la vita.

silhouette-bicicletta

Ricordo bene la prima caduta.
Un sabato mattina al termine di un giro, passo a salutare alcuni amici in centro prima di rincasare, destreggiandomi tra i pedoni che affollano il mercato. In un punto stretto rallento quasi fermandomi in surplace per fare passare una bella ragazza e guardandola (il culo, certo) mi distraggo, perdo l’equilibrio, faccio per mettere giù un piede che però è agganciato ai pedali e PATAPONFETE mi trovo per terra. Scoppio a ridere, non riesco a smettere, arrivo alle lacrime tra la gente che mi guarda, con la signora dell’edicola che preoccupata mi chiede se mi sono fatto male, mentre io cerco di alzarmi, invano come una tartaruga a guscio in giù che tenta di raddrizzarsi.

Un’impresa epica è stata la prima ascesa al Monte Grappa.
Mi sento carico e decido di affrontare quei 27km di salita. È Ottobre e sono provvisto solo di abbigliamento estivo, così recupero un paio di vecchi calzini, taglio le punte et voilà ho due manicotti; indosso il anche k-way ed esco. Tutto inutile: oltre alla fatica a darmi noia sono mani e piedi ghiacciati, più che attento a spingere sono intento a tenere in movimento le dita. Però la motivazione è forte e sono in forma, desidero conquistare la vetta e nulla mi può fermare. A un paio di km dall’arrivo, guardando l’Ossario su in alto capisco che ormai ce l’ho fatta, il cuore mi batte forte per l’emozione e non posso evitare di commuovermi. La fatica scompare e sono in cima, osservo giù, vedo dove sono partito e mi sento Dio!

cima-grappa-bicicletta

Le goliardate in compagnia sono memorabili.
Come quella volta che con un amico andiamo al RosAngeles Skate Riot pedalando, in modo da essere liberi di bere senza rischiare la patente. Però tornare a casa alle 3 di notte in bici da corsa dopo un numero alto e imprecisato di birre è alquanto arduo et impegnativo. Infatti la mattina dopo mi sveglio con male alla spalla, me la guardo e vedo un ematoma, unisco i puntini dei vaghi ricordi e mi sovviene quello strano rumore sentito e non compreso: spalla contro palo dello stop. D’OH!
O il primo McRide della storia, ossia McDrive post-aperitivo in bici, che nemmeno volevano darci hamburger e patate, e giù a ridere, a fare gli scemi come adolescenti in libera uscita.

Emozioni, forti e intense, sono i premi per chi si siede su quella sella scomoda. Come quelle che mi regalava e regala ancora Marco Pantani il mio ciclista preferito, colui che gettava il cappello, in presa bassa sul manubrio si alzava sui pedali, scattava e non ce n’era per nessuno.

Non condivido negativo

Qual è? Qual è il motivo che ti spinge a pubblicare e diffondere notizie negative?

Violenze, disastri, ingiustizie, morti. È sadismo che ti spinge a farlo? O forse mostrare e dimostrare sofferenza e indignazione? Secondo me sei uno di quelli che quando passano accanto a un incidente rallentano e si fermano solo per guardare, per curiosare, con la bocca ipocrita che pronuncia “Speriamo non sia successo niente di grave”, ma con gli occhi avidi di sangue e feriti.

Che utilità ha condividere un’informazione negativa? Nessuna. Stai solo facendo terrorismo, spargendo paura ingiustificata senza beneficio per chicchessia, né per te che lo fai, né ancora meno per me che, nolente, ne vengo a conoscenza.

SMETTILA!

Ricorda che negatività genera altra negatività innescando un circolo vizioso che si autoalimenta dello stesso male che produce.

I propositi della sera

Ti corichi, e nei pensieri che precedono il sonno decidi che domani mattina lo affronterai e gli parlerai: sveglia, saluto al sole, doccia e abbondante colazione, ma sì con la cioccolata che dona l’energia necessaria, quindi bicicletta fino all’ufficio; poi lo cercherai, trovandolo matematicamente alla macchina del caffè per le dieci e un quarto.

Sorge il sole. Dopo avere dormito, con ancora la testa mezza immersa nei sogni ti ricordi dei propositi saldi e determinati di ieri, i passi da compiere ben immaginati. “Machedavvero?!? Potrei rimandare a un altro giorno, magari è poco bendisposto, non ho tanta voglia, e forse… NO! Ho detto oggi e oggi sarà!” Saluto al sole, doccia, uova pane pesca e quadrato di cioccolata, pedali fino all’azienda, ti siedi e, incapace di fare altro, fissi l’ora in alto a destra sul monitor.

Passano i minuti ognuno dei quali genera dubbi, alimenta plausibili motivi di vacillazione, promuove il desiderio di procrastinare.
10:07
10:09
10:12
10:13
10:13
10:14
Alzati e vai alzati e vai alzati e vai.

Con paura e tensione ti metti in piedi e cammini in direzione saletta ristoro. Come previsto lo trovi lì appoggiato al tavolino chiacchierando con gli inseparabili due colleghi.
Respiro profondo, profondo respiro.
– Ciao
– Ciao
Dai che ci sei, hai già fatto il primo passo, il più tosto, prosegui.
– Ho bisogno di chiederti una cosa
– Va bene. Scusateci
Ecco il momento clou, ecco l’ostacolo da superare di slancio con timore ma fiducia.
– Mi piaci, vorrei uscire con te
Fatto. Era così difficile? SÌ! Però ne valeva la pena, per questi pochi secondi che si dilatano e perdono forma, per il cuore che batte rumorosamente, per l’emozione viva.
– Sabrina, volentieri esco con te.
– …
– Ah, fanculo!
Si avvicina ti stringe ti bacia forte.

Tutti fuori!

Come razza umana siamo nati all’aperto.

Col tempo abbiamo imparato a costruire e usare ripari sempre più sofisticati e funzionali, dai rami di un albero a una caverna, da una tenda a una palafitta, da una costruzione in legno a una in pietra. Lo scopo era proteggerci dal meteo ostile, dagli animali predatori, da altri uomini con intenzioni poco amichevoli. Per un tempo limitato, tuttavia: di notte, durante i periodi freddi, con le tempeste, in guerra.

Oggi invece passiamo gran parte della giornata all’interno di qualche edificio. Poco importa che sia una casa, un ufficio o fabbrica, un bar o una palestra. Perdiamo il contatto con la natura, non respiriamo aria libera, dimentichiamo il piacere di sederci al sole con gli occhi chiusi, non usciamo a fare sport o qualche passo nel vento leggero. È proprio un peccato, soprattutto qui in Italia dove il clima è amico e gli spazi abbondano.

aria-aperta

Non abbiamo il bisogno di rinchiuderci! Il leone non ci mangia, i conflitti sono pochi e sufficientemente distanti, altri pericoli non sono così minacciosi. Tetto e mura sono utili e indipensabili, ma meno di quanto pensiamo. Dobbiamo riscoprire il valore e la leggerezza del cielo sopra le nostre teste.

Quando è stata l’ultima volta che hai passato una giornata intera all’aperto?

I mattoni della mia felicità

Alla domanda “Sei felice? Sì, continua così. No, cambia qualcosa” rispondo con la seconda.

Prendendo spunto da Francesco Grandis aka Wandering Wil compilo una lista che elenca ciò che mi fa stare bene e per estensione mi rende felice, con l’intenzione di dedicarmici con grande impegno e determinazione.

  • Andare in montagna, camminarci, respirarla, odorarla, viverla.
  • Mangiare un’abbondante e deliziosa prima colazione.
  • Trascorrere tempo con le persone a cui voglio bene.
  • Offrire ospitalità e disponibilità.
  • Vivere le prime ore della mattina quando il mondo è ancora mezzo vuoto e addormentato.
  • Sentirmi stanco e soddisfatto dopo l’esercizio fisico, corsa e nuoto in primis.
  • Lasciare vagare libera la fantasia prima di prendere sonno.
  • Esprimere con parole chiare e semplici, scrivendo, i miei pensieri, le mie emozioni, i miei sentimenti.
  • Stare all’aria aperta.
  • Cucinare, soprattutto preparare dolci.

In questo calderone disordinato trovo piccole e grandi cose, alcune che già faccio altre poco o niente, alcune semplici altre che richiedono fatica. Mi servono come promemoria quando perdo la rotta, come obiettivi che mi ricordano che

essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. [Martha Medeiros]